Gale Harold: Abbastanza gay
Marted́, 5 febbraio 2002
di: Michael Rowe
Fonte: advocate.com
Tradotto da: Lalla & Monia
Redatto da: Marcy
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“Penso che [oggi] probabilmente sia diventato sempre più facile per la gente trattare l’argomento,” riflette, “ma per alcune persone è sempre uno sforzo monumentale dire: ‘Sei gay, possiamo parlare?’ Sono così spaventate, perché non sanno cosa significhi per loro, per Dio. Non vorrei trovarmi nel posto sbagliato al momento sbagliato, anche adesso.”
Stessa cosa sul campo di gioco, dove ad Harold una volta fu proibito di giocare a calcio perché i suoi capelli erano troppo lunghi. La motivazione fu che lo facevano sembrare non-mascolino. Inoltre, “poiché prese le mie difese, non fu permesso di giocare neanche al nostro portiere.” Harold sospira. “Quando sei ragazzino sai istintivamente quando qualcuno ti mette il sale sulla coda. O reagisci o non reagisci.”
Anche allora Atlanta era una città culturalmente variegata. I migliori negozi di dischi si trovavano nei quartieri gay, ed Harold ed i suoi amici più stretti si ritrovavano spesso a frugare tra le cataste (di dischi).
“Alzi lo sguardo e capisci, “E’ così che stanno le cose?”, alza le spalle, ricordando la sua nascente consapevolezza di una maggiore presenza gay.
Più vicino a casa, ha avuto degli amici, dice, che sapeva essere gay. Ma non se ne parlava. “Diciamo che io ho 15 anni”, suggerisce, mentre ricorda. “E so che tu sei gay. E tu sai che io so. In realtà, non ne parliamo mai, perché tu non tiri in ballo l’ argomento, ed io non mi sento di invadere questa cosa, di qualsiasi cosa si tratti. Non ci sentiremo costretti a farlo. Non ho mai avuto uno di quei momenti in cui qualcuno mi abbia scelto come confidente per il suo coming out,” dice “La consapevolezza era già forte abbastanza. Non c’ era proprio bisogno che mi dicessero qualcosa che io sapevo già.”
Dopo la scuola superiore, Harold vinse una borsa di studio grazie al calcio per potersi iscrivere all’Università Americana, ma abbandonò dopo un anno e si trasferì a S. Francisco, per studiare Belle Arti al San Francisco Art Institute. Si mantenne con una serie di lavoretti fatti su misura per un acuto giovane uomo.
“Ho servito ai tavoli, portato fuori la spazzatura, dipinto case… Un mucchio di cose umili” dice allegramente. Mentre il tempo passava, comunque, era sempre più inquieto “Non stavo cercando una direzione, e la vita aveva superato la boa degli anni del divertimento, sai?” Quando un amico gli chiese se volesse avere una parte inun film (che alla fine non fu mai fatto), l’interesse di Harold fu stuzzicato.
Con il boom delle Dot-Coms, S. Francisco stava diventando troppo costosa. Quando l’edificio dove abitava fu venduto e trasformato in un’autorimessa, Harold lo prese come un segno. “Sapevo che ad un certo punto avrei dovuto fare qualcosa”, dice Harold.. Nel 1997 partì alla volta di Los Angeles. “Lì avevo incontrato un insegnante di recitazione che mi affascinava, e decisi di seguire un workshop di una settimana,” ricorda.
L’arte teatrale colpì Harold in un modo in cui il media bidimensionale non aveva fatto. Serviva ai tavoli per mantenersi e studiava, dice “esclusa qualunque altra cosa per un anno e mezzo buono”. Un manager, che lo aveva visto in uno spettacolo, lo scritturò. Per un anno, Harold fece la gavetta in un giro di audizioni. Non successe niente. Ad un certo punto, chiese al suo manager di smettere di mandarlo a cercare lavori in televisione, sicuro che non ci fosse niente per lui in quel campo. E allora, ovviamente, arrivò Brian.
Nel momento in cui ci dirigiamo verso l’ufficio della produzione di QAF per continuare la nostra conversazione, Harold è pronto a parlare del suo controverso personaggio televisivo. “C’era un’attrazione”, concede, quando gli viene chiesto se la possibilità di interpretare un predatore sessuale come Brian Kinney – il più lontano possibile dall’immagine del “ragazzo gay della porta accanto”– gli fosse piaciuta. “Un altro motivo di attrazione era che si trattava di una storia interessante. Non era West Hollywood 90210, per la quale io non sarei mai stato chiamato. Non sono quel “tipo”.
L’approccio iniziale di Harold era che il suo personaggio avrebbe reso al meglio se interpretato come “un incrocio tra Lou Reed e Oscar Wilde, con un dente d’oro, e avrebbe raggiunto il massimo in questo modo. Ora, sappiamo che non posso farlo”, dice pericolosamente, “anche se penso ancora che è così che andrebbe fatto. Sarebbe molto più volgare. Ma non gli è permesso di essere così.” Non accetta nemmeno il concetto che Brian sia un semplice predatore. “Il personaggio che interpreti deve piacerti, perché se non piace a te, non piacerà a nessun altro. E se lo scopo dello show è creare un personaggio che nessuno ama e che tutti odiano, allora quella è la strada da seguire. Fare di lui un predatore. Ma a me piaceva Stuart (il personaggio sul quale si basa Brian)! Mi piaceva il tipo!”.
Il pensiero che avrebbe potuto essere etichettato, recitando il ruolo di un uomo gay, non lo ha mai sfiorato quando ha valutato se accettare o meno la parte. Harold aveva chiesto ad un amico attore gay se avrebbe dovuto accettare o rifiutare la parte, non per l’orientamento sessuale di Brian , ma per il valore dello show. “Se vuoi essere un attore”, il suo amico gli ha detto, “allora recita.”
“C’erano l’impulso creativo e la possibilità di fare qualcosa”, dice Harold onestamente, “ma c’erano anche 1.400 dollari di multe per divieto di sosta e tassa di registrazione arretrata del mio furgone”. Poiché doveva soldi agli amici e arretrati dell’affitto al padrone di casa, il pragmatismo che c’era in Harold capì che era tempo di crescere. Ho attraversato più volte la fase del “poveraccio che riesce a malapena a farcela”. Le tue alternative si esauriscono. Dice che, guardando indietro, capisce che “l’unica differenza tra il me di adesso ed il me di allora, a parte l’ esperienza che ho accumulato lavorando nel telefilm, è che ora ho i soldi. Che sono in grado di mantenermi e ripagare i prestiti ottenuti come studente. E la capacità di fare le cose giuste con le persone nel tempo. Questa diventa una cosa veramente importante quando compi 30 anni.”
Questo tira in ballo una di quelle domande stereotipate alle quali Harold non ama rispondere: Non è affatto preoccupato che il suo ruolo in QAF possa influenzare negativamente il suo futuro professionale? La sua risposta è rapida.
“Se qualcuno non vuole lavorare con me perchè sto recitando la parte di un gay, allora io non voglio lavorare con loro”, dice con molta calma. ”Possono andarsene a fare in culo”.
Perfino questa succinta affermazione è più di quanto Harold abbia detto alla stampa quando QAF è cominciato. Poiché abbondavano le speculazioni su quale degli attori fosse veramente gay, Peter Page e Randy Harrison si sono dichiarati gay, Scott Lowell ha parlato di sua moglie, e Hal Sparks ha discusso del suo istintivo disagio nel girare le scene di sesso con un altro uomo.
Gale Harold non ha detto…niente. Gli amici gli inviano ancora roba presa sulla rete, commenti che lui avrebbe fatto durante le interviste, “fondamentalmente mettendomi in linea con altri attori eterosessuali e con i loro commenti.” Ma Harold continua come ha iniziato. Non vuol fare ciò che lui chiama commenti “pretenziosi” sulla vita dei gay, degli eterosessuali ne tanto meno sulla sua vita amorosa.
“Gale è totalmente affascinante e abbastanza sicuro di sé, da non sentirsi minacciato da niente!”, aggiunge Ron Cowen. “Lui sa chi è. Questo fa di lui molto di più che un attore, fa di lui un essere umano molto bello.”
Un’altra domanda, che esce fuori costantemente, riguarda le scene di nudo ed il sesso con altri uomini. Ma ciò che nessuno riesce mai a chiedere, nonostante voglia farlo, è “Come cavolo ci riesci?” – con l’implicito “Non lo trovi disgustoso come uomo etero?”. Piuttosto che concentrarsi su questa domanda omofobica, l’uomo che ha scosso l’Americano Medio nel primo episodio di QAF (quando il suo personaggio insegna audacemente il rimming al personaggio di Randy Harrison) in realtà parla dei meccanismi del sesso sullo schermo.
“Abbiamo veramente una bella squadra”, dice con nonchalance. “Fra gli attori e con la cooperazione dei produttori, siamo stati in grado di stabilire una specie di protocollo per lo show, nel quale ogni scena di sesso ha il suo “ meeting sessuale”. Il regista ha una lista delle inquadrature che vuole. E questo non solo chiarisce la scena, ma è come una prova per le scene che non vengono provate. Se sai cosa devi fare e perché, quando lo stai veramente facendo, puoi farlo. Non pensi, “Che cazzo sta succedendo? Dov’è la telecamera? Perché lo stamo ripetendo di nuovo? Perché sto facendo questa cosa di nuovo? Non devi affrontare tutto questo. Capisci semplicemente la scena.
Harold è divertito dalle reazioni che riceve dal pubblico. Le donne eterosessuali lo implorano di confessare loro che è etero. Per quanto riguarda gli uomini eterosessuali, lui dice “Le risposte variano da “Mia moglie adora lo show!” a “Mi è piaciuto lo show; è divertente da morire!”. Gli uomini gay amano o odiano Brian Kinney, e Harold a volte subisce le conseguenze. Un esempio? Alla festa del Film Festival di Toronto, ha sentito un&rsquo imprecazione lanciata da un gruppo di uomini, che non conosceva, verso di lui mentre passava. “Ma non puoi neanche giudicare quella come una risposta negativa, davvero”, dice Harold con filosofia.
La sua famiglia, da parte loro, sembra aver preso bene la sua riconquistata posizione e la sua fama crescente. “Alcuni di loro erano shoccati,” riflette Harold, “semplicemente per il fatto che avessi un lavoro. Lasciai semplicemente venir fuori l’informazione (poco alla volta), così che, nel momento in cui effettivamente realizzarono che stavo facendo uno show televisivo con un budget e che venivo pagato e che volavo in prima classe, essi se ne uscirono con “Gesù, questo è al di là di qualsiasi cosa abbiamo mai considerato.”
La chiave per capire Gale Harold probabilmente non si troverà in questa intervista, o in qualunque altra intervista alla quale si sia sottoposto da quando è diventato Brian in Queer as folk. Invece, potrebbe essere trovata esaminando dove è andato durante la pausa estiva, prima che cominciassero le riprese della nuova stagione.
Invece di recarsi a Los Angeles per trarre vantaggi dall’essere Brian Kinney, Harold ha fatto le valige ed è andato nel piccolissimo “Soho Playhouse” a New York, per recitare con George Morfogen in una produzione a basso costo del dramma sull’AIDS di Austin Pendleton, Uncle Bob. Il palcoscenico era il suo primo amore, e lui aveva organizzato un randez-vous (appuntamento) estivo.
La pubblicità ottenuta grazie a Queer as folk lo ha seguito a New York, mentre cercava di prepararsi per il ruolo teatrale. “Era una fonte di grande distrazione,” dice. ”Era una benedizione ed una maledizione. Magari ci fossimo stati solo il regista ed io.”
Si è mai svegliato e chiesto cosa pensava di stare facendo quando ha accettato un ruolo così potenzialmente caratterizzante come quello di Brian Kinney?. “Non l’ho fatto, no”, risponde. “Mi sono svegliato dopo aver visto questo”, aggiunge, brandendo una pagina di un giornale d’alta moda che lo ritrae a posare elegantemente per la macchina fotografica, “e mi sono chiesto che cosa ho pensato di stare facendo. O vedermi sulla copertina di MetroSource, che è stato un tale piatto di formaggio (seccatura), e ho detto “Che cazzo sto facendo? Si suppone che stia lavorando in una rappresentazione!”
Un addetto stampa bussa alla porta per vedere come sta andando l’intervista fin quì. Harold sorride con vera cortesia, ma in quel momento è chiaro che c’è un solo posto dove vuole essere, di nuovo sulla scena a recitare. Ha ragione: le interviste possono essere un enorme piatto di formaggio (un’enorme seccatura).
“Se qualcuno riuscisse a penetrare il guscio della pubblicità e scoprire come non uscirne istrionico e pomposo,” dice, sospirando, “Mi piacerebbe parlarci.”
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